Nel libro "The garden" io mostro l'idea di un giardino anarchico in cui un individuo accumula oggetti, ritrovati a caso, in uno spazio che non gli appartiene ma che funziona come residua pertinenza di un rudere che egli ha deciso di erigere a propria dimora, modificandolo e ri-vestendolo di significati simbolici al di fuori dei codici che solitamente vengono utilizzati dai progettisti di giardini. Il giardino di Piero mette in pratica l'idea della possibilità di costruire secondo la propria indole il senso stesso del luogo sottraendolo al "progetto" come processo di intersezione di regole sociali ed economiche generando un corto-circuito sensuale e disturbante al tempo stesso. Il conflitto così generato diventa inaccettabile agli occhi delle istituzioni pubbliche e della proprietà che vedono minato il primato del potere socio-economico che ad esse viene accordato. Il giardino viene infatti distrutto per preparare l'area, cosi svuotata, ad un intervento che rientrerà nelle logiche imposte dalla "città" e da coloro che la abitano e per tornare ad essere "codificato" e dunque socialmente accettabile. La battaglia è comunque vinta sul piano della verifica di una potenzialità dagli esiti inattesi e rimanda alla questione della costruzione dello spazio urbano come diretta proiezione degli individui che lo abiteranno ribaltando però le percentuali decisionali. L'amministrazione pubblica potrebbe divenire un partner importante nell' agevolazione di una interazione uomo-ambiente che sia in grado di generare nuove estetiche dense di etica sia pure all' interno di una visione generale del territorio.