Johann Gustav Droysen, storico e politico tedesco del XIX secolo, nel suo libro Historik, al fine di distinguere le diverse fonti storiche, ne propose una classificazione. Prima tra queste mise gli "avanzi" (ueberreste), che definì come resti e residui di epoche trascorse. Caratteristica di questi “avanzi”, rispetto ad altre fonti storiche, risiede in quella che potremmo definire “presenza inconsapevole”: un esserci qui ed ora senza alcuna pianificazione precedente da parte di chi quegli oggetti li ha usati per una soddisfazione dei propri bisogni immediati.(1) La definizione di Droysen definisce dunque questo insieme di "avanzi" come segni di un presenza passata che in maniera contradditoria e ambigua persiste nel presente. Gli scarti hanno un'intrinseca essenza proteiforme, in quanto oggetti abbandonati da un lato, che al contempo possono acquisire nuovi significati. Effetto spesso di un'azione violenta, sintomo dell'avanzare tecnico e culturale, lo scarto svolge quella che è una coraggiosa forma di resistenza fisica. Gli scarti e i resti persistono in un non poter non tornare indietro (2) agendo passivamente come muro tra ciò che è stato e ciò che sarà, diventando una realtà ascrivibile al contemporaneo. Realtà, quest'ultima, sempre espressione di contrasti, formali e semantici. Partendo da queste considerazioni ho sviluppato un progetto fotografico con lo scopo di porre una lente d'ingrandimento sulla questione dello scarto in un'area definita e circoscritta – i luoghi in cui vivo – con l’intento di riconsegnare a questi scarti le tensioni radicali di cui sono portatori. Case abbandonate, copertoni ai bordi delle strade, frutti ormai marci, campi incolti, polvere e ruggine. La relativa marginalità di questi elementi, il silenzio che emettono, il vuoto funzionale di cui si fanno testimoni è ciò che ho voluto rappresentare, attraverso l'uso di contrasti semantici e visivi, tra soggetto e contesto, forma e colore. L'obbiettivo di questo progetto è quello di offrire uno sguardo altro sulla presunta marginalità delle rovine, creando un, seppur esiguo, “controarchivio localizzato”, usando un'estetica dissonante rispetto ai paradigmi che vorrebbero nello scarto un semplice e insignificante residuo di passato. 1) F.Chabot, Lezioni di metodo storico, Laterza, Roma-Bari, 2018, pg.55. 2) Not a story to pass on. Appunti per una teoria delle rovine. Federico Rahola, Rivista di filosofia, 2019.