Il progetto intende documentare il rapporto tra l'urbano e un contatto attivo con la natura.
L'intento sta nel voler trasmettere tutte le sensazioni, bisogni, ricerche e contrasti, che possono
scaturire da una relazione così atavica, dimostrando che i limiti che separano i due mondi sono più
flebili di quel che si è abituati a pensare; realizzando quanto essenziali siano le virtù che tale presa di
coscienza possiede intrinsecamente.
Questo poiché riteniamo che la suddetta distinzione risponda solamente ad una necessità linguistica,
dato che l'artificiale è espressione dell'uomo, ch'è a sua volta espressione della natura.
L'urgenza diventa allora quella di far riemergere tale verità, troppo a lungo soffocata da questo
separatismo filologico, divenuto indirettamente e subdolamente complice di una cultura consumistica,
incrementante a sua volta la distanza percettiva da tale primigenia verità; le quali conseguenze, sono
ormai sotto gli occhi di tutti.
In una società capitalista sempre più consapevole di sé stessa, delle sue radicate illusioni e paradossi,
tale consapevolezza appare come una montagna insormontabile; le persone si sentono sopraffatte ed
impotenti trovando nell'annichilimento l'unico “riparo”.
Il mondo dell'immagine è esso stesso oggetto e fautore di questa stordente abbondanza, arma a doppio
taglio; in quanto tale ha il dovere di provare a gestire la delicatezza di tale potenzialità per sfruttarla al
massimo; tentare l'arduo compito di rendere una così ampia moltitudine di informazioni, fautori e
applicatori, maggiormente rivolti ad ambizioni ben più audaci, piuttosto che continuare ad abituarci ad
ammalianti velleità e pericolosi miraggi.
L'orto urbano comunitario non profit ci è subito parso uno dei luoghi “contenitori” di una volontà
dedita alla ricerca di una cura: riportare la soffocante cognizione del nostro mondo alla sua originale
funzione salvifica, così ritrovando nella percezione dell'inquietudine un punto da cui ripartire e di cui
fidarsi.
Abbiamo scelto di agire col mezzo fotografico in tale scenario per 5 mesi, concentrandoci su un orto
che, con la sua conformazione semi circolare ed avvallata a ridosso di un “moderno Colosseo”
periferico, riusciva ad incanalare con maggiore forza nelle immagini le sue virtù espressivo-narrative.
Orto abitato da persone di varie età, provenienti da altre città o dal circondario o magari anche dalla
stessa palazzina antistante, nella quale vi sono personaggi che avrebbero voluto che quello spazio
avesse ben altra funzione. Un parcheggio, per fare un esempio.
L'attività agricola in un contesto cittadino periferico, sfrutta così l'attuale condizione di contrasto insita
in queste due realtà, per agevolare la speranza nel nostro equilibrio; sentire di non esserne così
distanti, al punto di doverci accomodare ed assistere inermi alla cementificazione di una sola frazione
di quello che siamo.
E' questo il principale aspetto che abbiamo voluto raccontare di questa attività: la forza terapeutica che
il lavorare la terra può sprigionare, al di là degli aspetti pragmatici della produzione; poiché riteniamo
che una sana produzione, sia una diretta conseguenza di una vera accoglienza di principi così originari.
Riconfrontarsi con un tempo naturale, in possesso di una pazienza rubata, è così potenzialmente
capace di risvegliare l'ovvietà della gentilezza e dell'umiltà, l'importanza fondamentale dell'essere
fluidi, la gioia della condivisione e riappropriazione dello spazio, il puro rispetto dell'urgenza
ambientale, la sdemonizzazione della fatica e la riscoperta della bellezza della quotidianità.
Valori al disopra di ogni cultura, per questo tanto ovvi quanto sotterrati, confusi e corrotti da
estremismi non più contenibili e troppo a lungo legittimati e barattati per sicurezze dolenti nella loro
illusorietà.
Una riscoperta della spontaneità che ci ha umanamente coinvolti, tanto da farci sentire parte integrante del progetto stesso.