19 Novembre 2015 - Passo di Monte Croce Carnico, Alpi sud orientali.
Le poche macchine che attraversano la strada scorrono tranquille, in un verso e nell’altro. Qualche sparuta famigliola è ferma davanti al bar, le loro lingue sono diverse e le loro parole che riempiono il silenzio tendono a mischiarsi, portando alle mie orecchie un lingua tutta nuova. In lontananza si scorgono piccoli gruppi di persone, in magliettine dai colori sgargianti, che percorrono lunghi sentieri di montagna visibili ad occhio nudo da questo grande spiazzo. Lo sguardo è libero, può inquadrare l’orizzonte, può vedere in prospettiva senza nessun tipo di ostacolo se non quello naturale delle alpi, eppure qui dovrebbe esistere un blocco, una fine, un muro, una barriera, un limite o almeno così è stato tracciato sugli atlanti e sulle carte geografiche dove una linea nera segna la fine di una nazione, il suo confine.
Dunque cosa è il confine, com’è fatto, quanto è alto il suo muro, quanto è lungo il suo filo spinato, quanto è marcata sull’asfalto quella linea così densa sulle carte geografiche. Con queste domande mi sono spinto in viaggio, zizzagando al di qua e di là di quella linea, a volte immaginaria, a volte fisica che è il confine del Nord Est italiano, alla ricerca di rimasugli di una storia passata, costruita su ideologie ed assurde divisioni. Una storia che non è passata ma ancora presente e che bussa spesso alle nostre porte, alle nostre coscienze. Lungo il percorso poche le tracce tangibili di quella che fu la cosiddetta cortina di ferro; rimane qualche sparuto cartello che ne indica l’esistenza; grandi caselli di cemento oramai abbandonati, labili strisce di colore sul grigio dell’asfalto a volte nulla di tutto ciò, solo la natura incontrastata ed il silenzio. Eppure, lungo questo viaggio sul confine, credo di aver percepito le sensazioni che una separazione produce. In quei luoghi così silenziosi, privi di persone credo di aver potuto scorgere il fantasma di quel muro, del filo spinato, dei controlli militari, della necessità del dover fuggire e della paura di rimanere. Costruivo così, a sensazione, un ‘idea di confine; disegnavo la mia linea di separazione anche quando e dove quella separazione non c’era più, sottolineando ancora una volta l’ironia stessa del concetto di confine.
P.S. l'intero progetto consta di 21 immagini ed estratti di mappe atlantiche.