La ricerca fotografica si sviluppa a partire da una riflessione sul tema dell’origine dello spazio sacro, del permanere dei principi fondativi, dei valori e delle tipologie rappresentative della tradizione della cultura occidentale. Un’operazione progettuale attenta a far emergere i caratteri dei luoghi, ed enfatizzare il senso sacrale del paesaggio secondo un modello interpretativo, dove gli aspetti spirituali, architettonici e paesaggistici, si condensano in un misurato equilibrio spaziale. Una attenzione al confronto tra paesaggio e architettura, dove il costruito ritrova nuovamente, attraverso l’immagine fotografica, il suo completamento nella natura, nella relazione con il contesto. Le forme vegetali insieme alle tonalità del paesaggio, da quelle più estetiche a quelle selvatiche, registrano e lasciano trasparire le specifiche intensità dei luoghi, offrendo l’opportunità di rigenerazione dello sguardo. Costruire l’immagine a partire dall’indagine sul paesaggio e sugli effetti sensibili ed emozionali che la natura sa suscitare, diviene una particolare forma di conoscenza, ottenuta variando la scala delle architetture rappresentate ed unificando la visione d’insieme. Si è così ricorso al concetto di soglia, di apertura al paesaggio, di sguardo periferico, per comprendere che lo spazio si evoca per frammenti, per condurre nuovamente attraverso l’immagine alla piena integrazione armonica tra l’ordine del nostro pensiero e l’ambiente naturale, generando un microclima visivo. Un modus operandi in cui la natura si trasforma in dispositivo ottico erogante emozioni plastiche, dove il carattere dei luoghi gioca un ruolo fondamentale. Si è preso dunque a riferimento, per un rinnovamento di metodi, linguaggi e procedure visive, alcune tra le architetture sacre contemporanee che punteggiano il paesaggio emiliano di pianura, come il cimitero di San Cataldo di Aldo Rossi e Gianni Braghieri a Modena, la cappella di Go Hasegawa a Guastalla, il Tempio di Cremazione di Paolo Zermani e il Famedio Venturini di Aurelio Cortesi a Parma. Un tema questo degli spazi di sepoltura dove la natura rappresentata non solo diventa gradiente cromatico, non solo è richiamo a queste terre di pianura, non solo è vita, ma diviene qui e ora fonte di ispirazione. Ritratta come prato incolto, aiuola, erba infestante, fiore o filare ordinato d’alberi, questa natura ricercata è in primo piano, lasciando l’architettura sullo sfondo, a volte al termine del fuoco prospettico, esattamente come accade nelle sontuose tele del Barocco emiliano. Affidare all’imprevedibilità della natura una centralità compositiva, contribuisce a fissare un punto di vista basato sugli stilemi del pittoresco: il contrasto tra le parti, l’irregolarità, l’asimmetria, la variazione. Spinge in altri termini l’occhio a scovare un gradiente di misurazione e di giudizio delle creazioni artistiche, svelando il carattere proprio di ognuna. L’associazione qui restituita tra architettura e natura stabilisce così l’annullamento di ogni gerarchia, attribuendo a entrambe le medesime e paritetiche modalità, per sorprendere ed emozionare. Le immagini fanno parte di un mio più ampio progetto fotografico curato da Luca Panaro, con i testi critici della storica dell’arte Elena Pontiggia e dell’architetto Matteo Agnoletto.