Civiltà Umana è una ricerca fotografica sul rapporto tra l’uomo e il paesaggio e le relative modifiche che a quest’ultimo sono apportate dal primo.
Il progetto fotografico, attraverso la ricerca sul paesaggio, desidera evidenziare il cambiamento storico del concetto di civiltà umana, forma con cui si manifesta la vita materiale, sociale e spirituale di un gruppo di uomini e che attinge a innumerevoli significati come benevolo, affabile, civile, equo.
Ma nei nostri giorni assume una nuova forma concettuale, lontana dal suo significato originario.
La crisi seguita alla Seconda Guerra Mondiale ha determinato nella società un vero e proprio taglio nel tempo e nello spazio della civiltà umana: l’uomo ha iniziato ad associare la propria personalità e il proprio desiderio di esserci verso l’ora incurante del proprio futuro.
Le fotografie sono la rappresentazione di un mondo che trova, tra il cielo e la terra, la solitudine dell’essere umano, tramutato in macchina rumorosa priva di emozione e costretta giornalmente
a un’intensa produzione d’energia per esistere. Charlie Chaplin nel suo film “Il grande dittatore” (1940), fece un discorso sulla civiltà umana che si potrebbe considerare premonitore: essa si è caricata di contenuti come l’odio, il disprezzo e l’avidità, aggettivi che hanno orientato l’essere umano allo smarrimento dal proprio spazio ristretto, le case, fino ad arrivare ai luoghi comuni che divide e vive con gli altri. Ed è proprio una considerazione che sembra descrivere il rapporto tra uomo e paesaggio che caratterizza la nostra società: “abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi in noi stessi”, l’uomo con le cuffie alle orecchie e il cellulare davanti agli occhi, smarrisce il suo vero obiettivo, isolando il suo pensiero e la sua esistenza, ovvero ha smesso di essere un uomo di comunità che fonda la propria esistenza di vita sui rapporti sociali, trovando così la sua innata identità.
Lo scopo di Civiltà Umana è quello di mostrare il paesaggio segnato e martoriato dalle corse degli esseri umani, sbalzati da un luogo all’altro, pronti a farlo proprio, a modificarlo in modo permanente, rendendolo luogo della memoria e dei sentimenti individuali, il paesaggio diviene così lo spazio della memoria collettiva. Accettare la violenza dell’uomo sul proprio paesaggio diviene presenza di coscienza di un diverso rapporto tra il soggetto e il mondo, gli oggetti e luoghi ritrovati nell’universo celano le sofferenze degli essere umani, i quali diventano volti spenti senza coscienza. E se l’uomo preistorico lasciava la sagoma della propria mano sulla roccia, segno del proprio passaggio sulla terra e simbolo dell’esistenza infinita, l’uomo di oggi lascia sotto le sue scarpe il declino di una civiltà priva dell’atto della riflessione, ossia la morte dell’umanità.