“Ogni paesaggio si esercitava nella morte. I fiori imitavano il collo, il naso, gli occhi, le labbra, la lingua, l’ombelico, i capezzoli degli esseri umani, non concedevano requie, prendevano in prestito parti del corpo. I viventi erano così ottusi da richiederli e accanto ai morti quei colori fiorivano perché la carne abdicava.
Non è vero che ci sono parole per esprimere ogni cosa. E non è neanche vero che i pensieri sono fatti sempre di parole. Le regioni interiori non coincidono con il linguaggio, esse ci trascinano là dove le parole non riescono a soffermarsi”.
E’ di questo pensiero estratto dal libro Il re s’inchina e uccide, di Herta Muller che si nutre questo lavoro di fotografia.
Un lavoro che indaga il rapporto tra corpo e natura, alla luce del desiderio e della sensualità. Desiderio di prendere parte ad un’esistenza superiore, verso una direzione più spirituale, in cui l’uomo non cessa di trascendere il proprio ambito umano.
I fiori sono “ombra” e luce di un desiderio che nasce dall’interno. Tutta la sostanza di cui sono fatti questi fiori - le pose e l’amaro miele che producono - richiama la pelle, i movimenti e la sinuosità del corpo che qui si mostra.